Sono timido!. Mi vergogno!. Sono un fobico sociale!
Molto spesso, senza
volerlo, utilizziamo la parola timidezza, vergogna, e, addirittura,
ansia sociale come se fossero sinonimi mentre, invece, potremmo
considerare queste "condizioni" come tappe di un continuum che portano
da una semplice caratteristica temperamentale ad un vero e proprio quadro
patologico che richiede, pertanto, un intervento mirato di tipo
terapeutico. Sarà opportuno, dunque, fare un pò di chiarezza sui
suddetti termini. Come potremmo definire la timidezza? Arrossire davanti
alle altre persone? Sentirsi impacciati nel dover affrontare una
conversazione con una persona appena conosciuta? Non riuscire ad
esprimere i propri sentimenti per paura di essere derisi o rifiutati?
Certo, ognuna di queste risposte potrebbe essere corretta, così come
indicativa di una condizione assolutamente normale che, a seconda delle
circostanze, potrebbe capitarci di vivere.
La timidezza, utilizzando un
gergo più tecnico, potrebbe essere definita come un sentimento
soggettivo di imbarazzo e vergogna vissuto nelle situazioni sociali e
che si associa spesso a inibizione ed evitamento. Si tratta, però, di
una condizione più temperamentale e caratteriale che clinica, e,
pertanto, la persona cosidetta "timida" riesce a conviverci in maniera
più o meno serena e consapevole senza che la cosa abbia ripercussioni
tali nella sua quotidianità da diventare un problema. Laddove
quest'ultima possibilità dovesse prospettarsi, perchè magari conviverci
inizia a diventare un problema e in più di una situazione i livelli di
imbarazzo e conseguente evitamento tendono a manifestarsi con più
frequenza e intensità, probabilmente ci troveremmo di fronte ad un
problema più serio e degno di attenzione. Cos'è, dunque, la fobia o
ansia sociale? Potremmo definirla come una condizione di sofferenza
soggettiva caratterizzata da paura e irrequietezza, associata ad una
serie di indicatori fisiologici (tremori, rossori, vertigini,
tachicardia...) e dal timore marcato e persistente di "una" situazione
sociale, prevista o da affrontare, in cui si è esposti al possibile
giudizio degli altri (Jefferson, 2001).
La definizione ci rimanda ad un
quadro sicuramente più complesso e pervasivo, che costantemente tende a
manifestarsi nella "situazione sociale" che fa da innesco. La
definizione fa riferimento ad un quadro di "fobia sociale semplice",
legato, cioè, ad una specifica situazione sociale. Potremmo fare
l'esempio di una persona terrorizzata dall'idea di parlare in pubblico
al punto tale da produrre una performance scadente nel momento in cui,
costretta dalle circostanze, decide di farlo. E' chiaro che la
complessità della sintomatologia è definita anche dalla compromissione
di attività quotidiane e sociali che la persona vive giorno dopo giorno e
che, nella maggior parte dei casi, porta all'evitamento della
situazione temuta con ripercussioni sia a livello sociale che
lavorativo.
Laddove le situazioni che innescano questo tipo di risposta
emotiva e comportamentale fossero più numerose ci troveremmo di fronte
ad un quadro più grave di "ansia sociale generalizzata" che, a sua
volta, fa da anticamera ad un vero e proprio "disturbo di personalità evitante".
E' evidente, dunque, come sia molto importante fare la giusta
distinzione fra i termini onde evitare che la timidezza, per quanto
fastidiosa, possa essere considerata uno svantaggio sociale invalidante,
soprattutto se, non essendo un quadro clinico, la persona ha tutti i
mezzi per controllarla e fronteggiarla. Nel resto delle situazioni
descritte, al di là delle etichette, è la compromissione della propria
vita sociale, familiare, affettiva e lavorativa a fare da campanello
d'allarme di una situazione sicuramente più importante e che richiede,
pertanto, un intervento terapeutivo ad hoc.